sabato 21 settembre 2013

K'sLT 33


Ragionando di territorio, mi capita spesso di mostrare le differenze tra i confini amministrativi e la storia, l’economia, la vita quotidiana nella Marsica. A fine luglio, è uscito un pezzo su una piccola testata: Giorgio Nebbia, Bacini idrografici come confini provinciali, in «La Gazzetta del Mezzogiorno» 24 luglio [2012].
E’ stata musica per le mie orecchie per molti versi, anche se m’aspettavo più puntualità e coraggio da parte del merceologo, che è stato tra i primi a divulgare il tema dei bacini imbriferi e ha avuto dei trascorsi da parlamentare.
La spending review di Mario Monti «nella suddivisione e riaggregazione delle varie province», può produrre delle nuove entità amministrative i cui «nuovi confini potrebbero coincidere con quelli dei bacini idrografici».
Non sono affatto d’accordo e tanto per fare un esempio, ne cito uno a noi vicino. Il Tronto divide due regioni e due province: resterà tale anche dopo la spending review. Teramo sarà accorpata con una o più province abruzzesi e lo stesso sarà per Ascoli Piceno. Bisogna invece aggregare le due province, sperando che ben rappresentino l’area in questione. (Non è detto che i confini amministrativi ricalchino esattamente quelli di un bacino imbrifero).
Per unire – a livello amministrativo – un bacino idrografico bisogna accorpare i territori che fanno parte del bacino stesso. Non è una questione numerica o di bilancio, come per l’attuale governo: i bacini imbriferi possono essere estesi poche decine di chilometri quadrati o 71mila kmq come quello del Po. (Che fare?).
«La cultura ecologica odierna ha [...] riconosciuto che il fiume è punto non di divisione, ma di unione fra terre vicine e ha rivalutato l’importanza del bacino idrografico, quel territorio i cui confini, ben definiti geograficamente, coincidono con gli spartiacque dei monti e colline», appunto.
L’esperienza delle Autorità di bacino, ha modificato pochissimo o per niente la cultura di governo locale e centrale in questi decenni, purtroppo. L’autore cita la breve vita dei dipartimenti «italiani» post-Rivoluzione francese (Arno, Basso Po, Brenta, Olona, Ombrone, Reno, Serio, Taro). Si tratta di ripescare quell’esperienza politica e amministrativa a cavallo tra Sette- ed Ottocento che poi è l’attuale situazione francese. Non ci vuol molto per capire che è la scala migliore per pianificare l’uso delle risorse naturali, per restaurare un paesaggio minacciato dal dissesto idrogeologico, per combattere efficacemente gli inquinamenti.

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